Ok, lo ammetto, sono un nostalgico. Un nostalgico del ventennio. Il mio ventennio, non quell'altro. Quando con 1000 lire compravi sette panini e ti davano pure il resto. Un Lemonissimo, il ghiacciolo ripieno dell'Algida, costava 150 lire e il Fior di fragola, che era più fighetto, 250. Gli ovetti Kinder ti davano sorprese geniali. C'era Goldrake e la mia cotta per Venusia, il mio primo vero amore.
Tempi in cui non esisteva neanche la sensazione della nascita di qualcosa come internet, non esistevano telefonini, si giocava a pallone per la strada e il massimo pericolo che si poteva correre erano le sonore mazzate delle madri quando rientravi tardi e tutto sporco di fango o, peggio ancora, con l'ennesimo pantalone della tuta strappato sulle ginocchia.
Mi ricordo una volta che piansi a scuola, esattamente venti anni fa. Facevo la seconda o la terza media e non avevo la minima intenzione di piangere. Tutt'altro, ero partito da casa orgoglioso di me stesso per essere riuscito a fare quel compito bastardo di educazione tecnica che non usciva mai a nessuno. Però, a me, il pomeriggio del giorno prima era riuscito. Goniometro, compasso e squadra. Fu un gioco da ragazzi.
All'epoca avevo una mente reattivissima. Quando c'erano i giochi di intelligenza matematici io, anche se non godevo del massimo della popolarità, finivo sempre al centro dell'attenzione perché li risolvevo prima e più velocemente degli altri. Per cui non mi meravigliai più di tanto quando a casa, armato degli strumenti detti e del foglio A4 da disegno, riuscii a farlo.
Il giorno dopo lo portai a scuola, lo feci vedere al mio insegnante che rimase colpito e magari stupito del fatto che io l'avessi fatto, e mi si riempì il cuore. Durò poco però: infatti il professore fece subito fare una verifica in classe sullo stesso disegno. Ovviamente in classe non riuscii a farlo. Venne giù il mondo e prese la forma di ettolitri di lacrime.
Io sapevo che lo avevo fatto a casa, sapevo di essere capace a farlo, eppure in classe non venne nulla. Il goniometro non goniometrava, il compasso si rifiutava di fare gli stessi movimenti, la squadra mi aveva ormai abbandonato. E' uno dei ricordi più tristi della scuola media. Ne conservo pochi, devo dire, ma per lo più sono piacevoli e felici. Note e ammonizioni con diffida sul registro comprese. Vent'anni fa.
Tempi in cui non esisteva neanche la sensazione della nascita di qualcosa come internet, non esistevano telefonini, si giocava a pallone per la strada e il massimo pericolo che si poteva correre erano le sonore mazzate delle madri quando rientravi tardi e tutto sporco di fango o, peggio ancora, con l'ennesimo pantalone della tuta strappato sulle ginocchia.
Mi ricordo una volta che piansi a scuola, esattamente venti anni fa. Facevo la seconda o la terza media e non avevo la minima intenzione di piangere. Tutt'altro, ero partito da casa orgoglioso di me stesso per essere riuscito a fare quel compito bastardo di educazione tecnica che non usciva mai a nessuno. Però, a me, il pomeriggio del giorno prima era riuscito. Goniometro, compasso e squadra. Fu un gioco da ragazzi.
All'epoca avevo una mente reattivissima. Quando c'erano i giochi di intelligenza matematici io, anche se non godevo del massimo della popolarità, finivo sempre al centro dell'attenzione perché li risolvevo prima e più velocemente degli altri. Per cui non mi meravigliai più di tanto quando a casa, armato degli strumenti detti e del foglio A4 da disegno, riuscii a farlo.
Il giorno dopo lo portai a scuola, lo feci vedere al mio insegnante che rimase colpito e magari stupito del fatto che io l'avessi fatto, e mi si riempì il cuore. Durò poco però: infatti il professore fece subito fare una verifica in classe sullo stesso disegno. Ovviamente in classe non riuscii a farlo. Venne giù il mondo e prese la forma di ettolitri di lacrime.
Io sapevo che lo avevo fatto a casa, sapevo di essere capace a farlo, eppure in classe non venne nulla. Il goniometro non goniometrava, il compasso si rifiutava di fare gli stessi movimenti, la squadra mi aveva ormai abbandonato. E' uno dei ricordi più tristi della scuola media. Ne conservo pochi, devo dire, ma per lo più sono piacevoli e felici. Note e ammonizioni con diffida sul registro comprese. Vent'anni fa.
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